Qual è il tono di “Favolacce”?

È un film profondo che racconta una storia difficile. Parla di un quartiere ma è anche uno spaccato della nostra società: una storia dolorosa e aspra che ho cercato di raccontare con uno sguardo molto dolce, quasi romantico, in cui i personaggi sono visti con amore. Questo era il mio obiettivo e per raggiungerlo avevo bisogno di strumenti sensibili da un punto di vista espressivo, oltre che tecnico. Mi sono appoggiato alla luce naturale, come ho fatto spesso negli ultimi anni. Avere come base la naturalezza della luce non vuol dire, però, accettare ciò che ti trovi davanti, ma trasformarlo in funzione creativa, per adattarlo al progetto.

Quali strumenti ha scelto?

È il secondo film che faccio con i fratelli D’Innocenzo e in entrambi i casi ho usato ALEXA. Abbiamo cercato insieme la semplicità, l’agilità e la leggerezza. Ho quindi girato tutto con la ALEXA Mini perché avevo bisogno di una macchina piccola, che potessi mettere in spalla agevolmente, e ho usato ottiche vintage, lenti che hanno delle aberrazioni ottiche: volevo avere dei difetti nell’immagine, cercavo una pasta antica e anche una grande semplicità. Siccome sapevo che mi sarei avventurato in un terreno con molte sorprese, ho deciso di rassicurarmi e usare un sensore che conoscevo benissimo. Avrei voluto girare in primavera anziché in estate, perché in estate nelle periferie romane la luce è molto dura, ma per necessità produttive abbiamo iniziato le riprese a fine giugno e terminato a fine agosto. Il sensore ha comunque retto molto bene il contrasto, molto meglio di quanto pensassi. Le ottiche vintage e le macchine di questo film vengono da D-Vision Movie People Roma.