Il direttore della fotografia Italo Petriccione, che ha all’attivo oltre 50 film dal 1986 a oggi. Nel corso degli anni, ha spesso collaborato con il regista Gabriele Salvatores dentro e fuori dai set. “Ho iniziato a lavorare con Gabriele Salvatores con 'Marrakech Express' nel 1988 e da allora la nostra collaborazione non si è mai interrotta. Se a questo aggiungiamo che la nostra amicizia ha ormai superato il mezzo secolo, non c’è bisogno di sottolineare la nostra intesa professionale. Da molto tempo cercavo di portare Gabriele al bianco e nero, anche perché da giovane ero appassionato di fotografia e scattavo e stampavo rigorosamente in bianco e nero.” Con “Il ritorno di Casanova”, Petriccione ci è infine riuscito nel convincere il regista a implementare un design cromatico unico.il nuovo film di Gabriele Salvatores, interpretato da Fabrizio Bentivoglio, Toni Servillo e Sara Serraiocco, propone una storia con due diversi livelli temporali: uno catturato a colori, l'altro in bianco e nero.
"Il ritorno di Casanova" si muove su due piani temporali, come avete gestito lo stile visivo?
Il film narra la vicenda di un regista premio Oscar Leo (Toni Servillo) che, terminate le riprese dell’ultimo film, è in preda all’ansia, spaventato dal ritorno alla complicata vita quotidiana. Età e paure sono le stesse del protagonista del suo nuovo film, un Casanova maturo (Fabrizio Bentivoglio) che soffre il declino dovuto al passare del tempo. Con l’avvicinarsi della vecchiaia, svanisce la sua capacità di seduzione, così come svanisce per il regista Leo la presa sul pubblico, ora attratto da un giovane regista apprezzato dalla critica. Sono due personaggi speculari con le stesse angosce, che vedono la giovinezza degli altri come un’insidia costante al loro status: seppur separati da quasi tre secoli, i due sono molto vicini emotivamente. Con Gabriele abbiamo ragionato a lungo su come declinare i diversi piani temporali, poi abbiamo deciso di usare il colore per la parte in costume e il bianco e nero per quella ai giorni nostri.
Ti sono stati indicati riferimenti particolari?
Per la parte a colori, con le atmosfere a lume di candela, la sontuosità delle location e dei costumi e una densità dell’immagine ispirata al cinema in pellicola, era ben presente in noi "Barry Lyndon", ma non solo. Per la parte contemporanea, invece, caratterizzata da un bianco e nero secco, inciso, dai contrasti forti e dalle simmetrie compositive dichiarate che rilanciano il disagio della vita quotidiana, avevamo in mente il cinema in B/N di Gordon Willis con Woody Allen o quello di Martin Scorsese, ma anche la bellezza delle immagini dei grandi Dop italiani degli anni ‘50 e ’60, come Leonida Barboni, G.R. Aldo, Peppino Rotunno e molti altri di quella fantastica stagione del nostro cinema.
Quante sono state le settimane di riprese e in quali location avete girato?
Con un budget di sette milioni di euro abbiamo girato cinque settimane in Veneto, tra la provincia di Verona e Venezia, e quattro a Milano. Un set importante per ambienti e giorni di ripresa è stata Villa Dionisi a Cerea, splendida dimora settecentesca con un grande parco in cui abbiamo ambientato molti interni ed esterni della parte d’epoca.
Ci sono state difficoltà pratiche particolari per girare in alcune location?
C’è una scena in cui Casanova torna a Venezia all’alba in gondola e una in cui il regista è alla Mostra del Cinema. Girare a Venezia è di per sé complicato, ma avere tutta una scena all’alba, e per di più con ambientazione settecentesca, rendeva tutto ancor più difficile. Avevamo solo una quarantina di minuti per le riprese, poi saremmo stati invasi dai turisti e dal traffico delle imbarcazioni. Dovevamo seguire Casanova che, in gondola, ammirava la sua Venezia dopo anni di esilio. Alla fine abbiamo terminato le riprese appena in tempo, utilizzando una barca di appoggio su cui era montato un modular Crane e con una seconda macchina a terra per riprendere il passaggio della gondola dai ponti e tra le calli. Finito l’ultimo ciak, tra turisti, vaporetti e navi da crociera si è scatenato l’inferno! Abbiamo poi girato il finale della parte moderna sul tappeto rosso della Mostra del Cinema dove, oltre a un rigido cerimoniale con operatori e assistenti in giacca e cravatta e a un controllo di polizia minuzioso, abbiamo dovuto adattarci alla situazione. Una parte delle riprese è stata ricostruita dopo la mezzanotte, a proiezioni finite, una parte è stata “rubata”. Ho fatto mettere una chiave di croma nel grande schermo che rilanciava i trailer dei film e ho avuto la collaborazione del responsabile luci del festival, che mi ha consentito di spegnere o regolare l’impianto esistente, cui ho aggiunto piccole integrazioni.
Quali lenti i hai utilizzato?
Per la parte contemporanea ho utilizzato gli ARRI Signature Primes scegliendo il grande formato, mentre per le parti in costume ho utilizzato una serie di Cooke Pancro vintage su Super 35. Differenziare la due epoche con colore e B/N, utilizzare formati diversi del sensore e obiettivi con progetti ottici così differenti mi sembrava l’approccio più giusto. Conoscevo bene i Cooke Pancro degli anni ’50, visto che ci avevo girato i miei primi tre film, i Signature Prime invece mi hanno colpito per la raffinata qualità ottica e il meraviglioso bokeh che creano nei piani focali. La parte in B/N ci ha dato grandi soddisfazioni. Il formato pieno associato ai Signature mi ha entusiasmato per l’immagine compatta di un sensore così ampio. Questi meravigliosi obiettivi mi sono stati preziosi con la loro trasparenza e incisione. Mi ricordano i leggendari Primo Lens Panavision, ma con un bokeh unico. Ho anche montato dei Sigma sui droni (troppo preziosa la serie vintage Cooke per rischiare) e degli Swing & Shift per alcune scene di ricordo.
Qual era il tuo sistema di illuminazione?
Un giorno, il famoso direttore della fotografia Tonino Delli Colli mi disse: “Italo, ricorda: non accendere mai una seconda luce se non sei soddisfatto della prima, non aggiustare con la seconda gli errori della prima”. E aggiunse “la prima luce che metterai ti determinerà l’andamento della giornata”. È un consiglio che seguo sempre. Scelgo innanzitutto la luce principale e la sua direzione. Una volta piazzata e ben dosata, passo alle “rifiniture”. In questo modo per i vari tagli faccio solo piccoli aggiustamenti e ho grande continuità tra le inquadrature.
Quale valore aggiunto hanno dato le luci ARRI?
Ho sempre prediletto le luci ARRI. Nel passato, i proiettori a scarica e incandescenza, con la loro struttura affidabile e i Fresnel generosi, sono sempre stati la base del mio corredo. Ultimamente, con l’avvento dei led, gli ARRI SkyPanel sono diventati per me fondamentali e su questo film ho potuto provare anche gli ARRI Orbiter. La possibilità di controllare da remoto tutti i parametri, unita al vasto panorama di accessori e softbox, sono stati preziosi. In una location complicata per la logistica, gli Orbiter hanno risolto egregiamente il controllo di tre grandi finestre e credo che tra pochi anni riusciremo ad avere la stessa potenza degli ARRIMAX (che porto sempre con me!) con la tecnologia led.
In che misura hai usato il monitoraggio sul set? Qual era il flusso di lavoro? C'era un DIT?
Ho sviluppato insieme al colorist Cristian Gazzi e al mio DIT Flavio Tucci un paio di LUT per le due epoche, poi sul set le modificavamo in base alle esigenze. Con la mia modalità di lavoro, il girato è vicino al risultato finale per l’80 - 90%, senza per questo allungare minimamente i tempi di set. Tendo a fare gran parte del lavoro in ripresa e mi tengo la color correction per le rifiniture. Sono convinto che mostrare un buon livello di finitura consenta di mantenere alto il coinvolgimento dei reparti, che possono vedere da subito la direzione visiva del progetto, e permetta al regista di trattare una materia più stimolante in ripresa e poi in fase di montaggio.
Come guardavi il girato?
Controllo sempre il girato attentamente durante la ripresa, quindi preferisco avere su Dropbox una still di ogni singola inquadratura che la sera mi permette di controllare l’andamento della fotografia. Non sto volentieri alla macchina da presa, preferisco stare al monitor con il DIT, così mi concentro meglio sull’immagine. Collaboro da più di 25 anni con Fabrizio Vicari, raffinato operatore, e la sintonia è totale.
Qual è il prossimo film a cui lavorerai?
Sto preparando il primo film da regista di Claudio Bisio, una storia di bambini molto coinvolgente tratta dal romanzo di Fabio Bartolomei “L’ultima volta che siamo stati bambini”. Un road movie ambientato nel ‘43 nel quale vorrei utilizzare ancora i Signature Prime.
Immagine di apertura: Italo Petriccione
Attrezzature tecniche fornite da D-Vision Movie People