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ARRI Orbiter illumina la commedia italiana “La primavera della mia vita”

Sognante, colorato e surreale, “La primavera della mia vita” è una commedia con protagonisti due famosi musicisti italiani. Su diversi set in Sicilia, il direttore della fotografia Carlo Rinaldi ha fatto ampio uso delle luci ARRI Orbiter.

Mar. 10, 2023

“La primavera della mia vita” è il primo lungometraggio del regista Zavvo Nicolosi, interpretato dai cantanti siciliani Colapesce e Dimartino. Il direttore della fotografia Carlo Rinaldi ha già collaborato con Francesco Bruno per il film “Cosa sarà” e per la serie televisiva “Tutto chiede salvezza”. Ha inoltre curato la fotografia della serie “Il re” e del primo lungometraggio di Pietro Castellitto “I predatori”. In questa intervista, parla dell'utilizzo di Orbiter con ottiche di proiezione e altri apparecchi di illuminazione ARRI per “La primavera della mia vita”.

Che impostazione visiva avete cercato per “La primavera della mia vita” con il regista Zavvo Nicolosi?

Zavvo ha firmato tutti i videoclip musicali di Colapesce e Dimartino, perciò partivamo dall’impostazione visiva di quei progetti. I loro videoclip propongono un immaginario molto specifico: è come se vivessero in un mondo un po’ fatato, molto particolare. I riferimenti fondamentali sono stati alcuni film di Wenders, come “Paris, Texas” e “Fino alla fine del mondo”, qualcosa di Kaurismaki e un po’ di Wes Anderson, con molte inquadrature simmetriche e una regia fatta di stacchi, senza piani sequenza e grandi movimenti di macchina. Zavvo mi ha anche consigliato di vedere “True Stories” di David Byrne, un film di un musicista diventato regista tutto ambientato in Texas, quindi un’opera molto legata al territorio, ma contemporaneamente anche alla musica. Questi due aspetti calzavano a pennello su “La primavera della mia vita”, un road movie in cui, attraverso una serie di tappe, Colapesce e Dimartino raccontano la Sicilia. La regione quindi diventa a sua volta uno dei protagonisti della storia. In più c’è una parte di commedia molto ironica e strampalata che può ricordare “Non ci resta che piangere” o i film di Franco e Ciccio. Una commedia demenziale, dell’assurdo, in cui si inseriscono anche due o tre momenti di esibizione musicale, con un brano di Madame e uno di Colapesce e Dimartino suonati all’interno del film. 

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I cantanti siciliani Colapesce (r.) e Dimartino nel film “La primavera della mia vita”

Ci sono state scene in cui avete riscontrato particolari difficoltà tecniche?

La sfida più grande è stata legata al fatto che il film è un road movie. Avevamo solo 30 giorni di riprese e abbiamo girato in una moltitudine di luoghi, tra l'altro molto belli. La sfida era descrivere la Sicilia senza farla sembrare una cartolina. Abbiamo girato in luoghi sperduti come calanchi, spiagge, un'isola o una barca. Questo ha portato a situazioni piuttosto complesse da gestire in termini di logistica di produzione e di illuminazione. Le riprese si sono svolte in estate, con una luce molto dura, e il mio approccio è stato quello di andare incontro alla situazione, cercando di addolcire quella luce in un paesaggio a volte sperduto. Quando siamo andati nei calanchi ho pensato ad ambientazioni western, nei grandi palazzi affrescati ho pensato ai film ottocenteschi. Insomma, mi adattavo.

Qual è stata la soddisfazione più grande?

Calarmi nell’immaginario di Colapesce e Dimartino. Continuo a dire che il mio genere non è la commedia, ma nel tempo ho scoperto di essere capace di farla. Le mie, però, sono sempre commedie un po’ strane come “I predatori” di Pietro Castellitto o “Cosa sarà” di Francesco Bruni. I riferimenti che ho citato, inoltre, mi hanno dato la possibilità di guardare a direttori della fotografia leggendari come Robby Mueller e Vittorio Storaro, oltre che di giocare moltissimo con il colore senza dover essere realistico. Nel film ci sono dei mandorli che emettono una luce blu o delle grotte illuminate di verde come fossimo in “The X-Files”; perciò, mi sono potuto sbizzarrire a livello di colore. Visto che le inquadrature erano così definite, questo è stato uno dei pochissimi progetti in cui ho voluto fare anche da operatore di macchina, creando io stesso l’inquadratura.

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DP Carlo Rinaldi ha utilizzato ampiamente l'ARRI Orbiter per illuminare diverse scene

Come è avvenuta la scelta del formato e degli strumenti di ripresa?

La scelta di lenti e macchina da presa è stata originata dal formato. Lo volevamo quadrato e abbiamo scelto l’1:66, un formato storico che hanno usato Stanley Kubrick, Bernardo Bertolucci e Wong Kar-wai. È un formato molto bello, un rettangolo ma non cinematografico come quelli di Sergio Leone. Volevo un po’ più di spazio sopra, volevo vedere i soffitti, i cieli e per ottenerlo dovevo rimanere nel mondo delle lenti sferiche. Da grande amante delle lenti vintage ho scelto un set di lenti Cooke Panchro. Il regista Zavvo Nicolisi, come anche i protagonisti Colapesce e Dimartino sono legati a un certo look retro; amano l’analogico, il vintage che passa per l’abbigliamento, per i props e per lo stile visivo. 

Hai fatto un ampio uso di ARRI Orbiter per illuminare il film, com’è andata?

Ho fatto scelte che guardavano al passato, ma anche alcune che riguardavano il futuro. Ho usato ARRI Orbiter e ARRI SkyPanel, un kit di LED che mi ha aiutato moltissimo a lavorare sul colore, combinati con i classici apparecchi a incandescenza e tungsteno, come i Jumbo, pannelli che raccolgono più lampade PAR. Sono molto intensi e generano molta luce calda. Ho quindi cercato di combinare questi due mondi.

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“Il punto di forza di ARRI Orbiter è sicuramente la sua compatibilità con altri pannelli LED”, afferma il direttore della fotografia Carlo Rinaldi

Qual è stato il valore aggiunto di ARRI Orbiter?

Il punto di forza di ARRI Orbiter è senz’altro la sua complementarità con gli altri pannelli Led. I classici pannelli Led sono da 60 o 120 centimetri e fanno una luce morbida, magari anche intensa, ma sparpagliata. Il punto di forza di Orbiter è invece creare una luce concentrata, puntiforme. Il mondo dei LED per il cinema non lo prevedeva, ma finalmente Orbiter mi ha offerto un LED che produce una luce direzionale, un fascio, a complemento delle altre luci più diffuse. In più, la sua peculiare luce puntiforme può essere facilmente trasformata collegandoci una lanterna o un soft box, cosa che gli altri pannelli Led non possono fare. Un altro grande vantaggio è che Orbiter fa parte di un ecosistema ARRI nel quale puoi selezionare un determinato colore di gelatina che poi puoi trovare identico anche su SkyPanel. 

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L'ARRI Orbiter su una gru è stato fondamentale per la scena del sogno in "La primavera della mia vita"

C’è una scena in particolare in cui ARRI Orbiter ti è stato molto d’aiuto per ottenere il risultato cercato?

Nel film c’è una scena onirica, una specie di visione di un ricordo che Colapesce ha dopo aver ingerito un allucinogeno. Inizialmente doveva essere girata in bianco e nero per essere chiaramente staccata dal resto del film, che è abbastanza colorato. Ma poi Zavvo e i due protagonisti si sono dispiaciuti di perdere la componente di colore. Ho quindi proposto di girare la scena in rosso e nero, con una luce prevalentemente rossa ovunque. Nella sequenza lui prende l’allucinogeno in un posto, si addormenta e si risveglia nello stesso posto, ma a quel punto non c’è più nessuno. Siamo in mezzo alla natura, lui è immerso in una luce rossa e la macchina da presa lo segue in una serie di situazioni legate tra loro da un carrello o da una panoramica a schiaffo: si vede lui bambino, lui col papà, lui con le sue ex, lui a scuola dalle suore. Per questa scena Orbiter è stato fondamentale: era sempre la luce principale che creava il cono di luce sull’attore, e intorno a Orbiter, posizionato su una gru che saliva fino a una trentina di metri, c’erano SkyPanel e PAR. In questo modo riuscivo a creare lo stesso colore rosso con i tre strumenti e ottenevo un tappeto di rosso morbido dappertutto, con spot singoli su un personaggio o su elementi del set ben precisi. Un’altra scena interessante a livello di illuminazione è stata quella girata in una grotta. Si tratta di una vecchia cisterna dell’acqua di Ortigia, un luogo enorme, maestoso, che si trova sotto una chiesa, in cui abbiamo inscenato una sorta di conferenza di complottisti. L’intera grotta era illuminata con un punto di verde. Orbiter illuminava in controluce diretto, impallato dal personaggio, il palchetto col relatore visto da dietro, creando un contorno verde.